Potrei essere il cancro del
buco del culo di una gallina cosmica
La mia curiosità mi ha sempre spinto a filosofeggiare
in metafore inesplorate e pensieri irraggiungibili.
Con affetto ricordo la mia maestra delle elementari; una
signorina esile, alta e mora, con delle timide acconciature che le gonfiavano i
capelli, con gli occhialoni tipici di fine anni sessanta, molto compita, sobria
anche nei rimproveri, perfettamente in linea con l'insegnamento filo-cattolico trasmesso dall'istituto parificato, cui i miei genitori avevano concesso la mia prima
preparazione scolastica.
S'imparava in una classe di bambini uniformati dal
grembiule nero e dai fiocchi colorati, ciascuna delle cinque classi ne adottava
uno, e rammento perfettamente i primi fastidiosissimi e rigidi colletti di
plastica, color bianco finto, di quelli che non si lavavano quotidianamente ma bastava una sciacquata. Si parlava e
si insegnava del sole, la stella più grande; avevo un libro sulla storia
dell'uomo e della terra, regalatomi alla mia prima comunione proprio da colei
che ricorderò per sempre come la mia prima insegnante; nonostante i miei sei anni, ero affascinato dalle varie illustrazioni raffiguranti i marmi dei grandi scultori, ammiravo la grande foto a doppia pagina della primavera di Botticelli, ma ero
attratto anche dalla geografia, dalla scienza, dal cosmo e così affermai a voce
alta e non senza emozione, ciò che avevo lentamente letto nell'intimità della mia cameretta:
"Maestra, il sole è la stella più vicina, perciò
sembra la più grande".
La mia prima dichiarazione pubblica.
Lei allora cominciò a spiegare com'era fatto il
sistema solare, i pianeti che orbitano intorno alla stella centrale, e i vari
sistemi a formare la galassia nota e si presume, quelle ignote ed infinite.
Qualche volume dopo, altri docenti mi spiegavano dell'atomo
e immediatamente mi apparve così uguale al sistema solare; il nucleo come il
sole, gli elettroni come i pianeti, e la mia giovane mente cominciò a
percorrere traiettorie tuttora troppo più grandi di me, anche se sono in me.
L'atomo mi compone, è parte della mia stessa materia,
e la mia stessa materia è parte di una molecola più grande.

Cominciai a pensare ad una teoria, quella
dell'infinitesimamente.
Infinitesimamente piccolo, il mio corpo galattico,
formato da un'eternità inesplorabile di galassie atomico-molecolari; quella
dell'infinitesimamente grande, una galassia composta da tanti sistemi solari,
tanti grandi atomi che formano una molecola di comprensione impossibile.
Cosa c'entro io? Qual è il mio ruolo?
Per assonanza penso ad alcune malattie, di quelle che
distruggono o scombinano le cellule, matrici biologiche anch'esse formate da
molecole e da atomi infinitesimamente piccoli.
Chi distrugge in un attimo quelli che noi definiamo atomi?
E chi distrugge in una nostra eternità un sistema solare, un atomissimo?
In questa teoria, l'essere umano come da noi inteso
potrebbe esserne la malattia genetica mai mappata?
Con i nostri comportamenti egoistici e distruttivi,
perché non considerare questa ipotesi; l'essere umano come una malattia
programmata per distruggere l'elettrone terra e quindi il sistema solare.
E se quest'atomo su cui spadroneggiamo fosse parte di materia del cervello
di un essere supremo e super intelligente, o del buco del culo di una super
gallina cosmica, la cosa inciderebbe?
Certo, potrei col mio comportamento influire e
decidere di non uccidere il mio elettrone terra e non far ammalare il super
essere cosmico; potrei diventare vegan, non contribuire all'effetto serra,
vivere senza consumare il mio pianeta elettrone, risparmiare le risorse,
insomma, essere in sintonia con la natura e gli esseri viventi, poiché di tutti,
solo noi distruggiamo.
In tutto questo, però, un dubbio “Dickiano” mi sorge:
E se invece il mio pianeta fosse la malattia?
In questo caso sarei l'anticorpo della supergallina
cosmica, ma nel mio piccolo insignificante universo, non sarei altro che un
folle suicida.
Nessun commento:
Posta un commento
Aggiungi un commento...