«La localizzazione (o localismo) in economia è un insieme di filosofie politiche che danno priorità alle realtà locali, sostenendo ad esempio la produzione locale e il consumo locale di beni...» (Wikipedia)
Penso a quei comuni che non sono stati toccati dall'epidemia o almeno in maniera marginale, che potrebbero lavorare internamente, contribuendo a creare la catena di solidarietà in forma sinergica.
Messi
da parte i discorsi complottistici che non voglio nemmeno
considerare, ritengo che nessuno possa ritenersi libero, nel momento
stesso in cui si interfaccia con la restante società.
L'unico
modo per reputarsi essere pensante e indipendente, è tramite
l'informazione, laddove possa ritenersi libera e fruibile, e quindi
conseguentemente poter operare delle scelte.
Nel
valutare il momento pandemico, mi rendo conto che nessuno è
realmente libero, non per le costrizioni cui tutti siamo più o meno
sottoposti, quanto sul dato oggettivo che nessuno sa; nemmeno gli
scienziati, i quali nonostante gli sforzi enormi, non sono nelle
condizioni di poter fornire risposte certe, nemmeno ai governi.
Confesso
che preferisco mille silenzi alle idiozie, specie se proferite dai
capi di stato che, estemporaneamente, consigliano iniezioni di
soluzioni disinfettanti o immunità di gregge.
Si
attendeva il discorso del Presidente Conte sulla cosiddetta “FASE
2”, sul come ricominciare il nostro vecchio modo di vivere, così,
come nulla fosse successo, ma era largamente prevedibile che la fase
due non sarebbe stata altro che la uno-bis.
Quale
sarà o meglio, quale dovrebbe essere a mio avviso la fase due?
Non
voglio definire questa tragedia un'opportunità, le migliaia di
vittime non ci permettono di considerarla un'occasione, ma ci danno
modo di reputare questo momento come una necessità: un integrale
ripensamento della nostra società.
La
ripresa delle attività non dovrebbe essere gestita dal governo
centrale, ma prevedere una sorta di autonomia dei territori,
lasciando all'esecutivo il non facile compito di supervisione e
raccordo fra le varie realtà.
Nella
misura più naturale, c'è necessità di autonomia economica locale,
non tanto per rilanciare i vari comuni, quanto con l'intento di
rendere ogni singola comunità sinergicamente solidale.

La
globalizzazione ha concentrato i flussi economici veicolandoli verso
i grandi gruppi industriali, impoverendo la popolazione anche delle
proprie capacità produttive e di conseguenza, delle proprie
conoscenze, peculiarità e abilità.
Bisogna
ripensare tutto il sistema, anche in forma di una decrescita che
possa portare benessere locale e una più equa ripartizione della
ricchezza, dove questa parola non deve necessariamente coincidere con
denaro.
Quindi localizzazione
che preveda innanzitutto sburocratizzazione e detassazione per far riprendere attività
imprenditoriali anche a carattere familiare, affinché possano
rinascere laboratori del fare, piccole produzioni che possano in un
certo qual modo rilanciare un “nostro” prodotto creando economia
locale; questi sono a mio avviso gli investimenti che bisogna fare,
perché lo Stato non può essere considerato ricco se non lo sono i
suoi cittadini.
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