lunedì 27 aprile 2020

CHE FASE SARÀ


«La localizzazione (o localismo) in economia è un insieme di filosofie politiche che danno priorità alle realtà locali, sostenendo ad esempio la produzione locale e il consumo locale di beni...» (Wikipedia)

Penso a quei comuni che non sono stati toccati dall'epidemia o almeno in maniera marginale, che potrebbero lavorare internamente, contribuendo a creare la catena di solidarietà in forma sinergica.

Messi da parte i discorsi complottistici che non voglio nemmeno considerare, ritengo che nessuno possa ritenersi libero, nel momento stesso in cui si interfaccia con la restante società.
L'unico modo per reputarsi essere pensante e indipendente, è tramite l'informazione, laddove possa ritenersi libera e fruibile, e quindi conseguentemente poter operare delle scelte.
Nel valutare il momento pandemico, mi rendo conto che nessuno è realmente libero, non per le costrizioni cui tutti siamo più o meno sottoposti, quanto sul dato oggettivo che nessuno sa; nemmeno gli scienziati, i quali nonostante gli sforzi enormi, non sono nelle condizioni di poter fornire risposte certe, nemmeno ai governi.
Confesso che preferisco mille silenzi alle idiozie, specie se proferite dai capi di stato che, estemporaneamente, consigliano iniezioni di soluzioni disinfettanti o immunità di gregge.
Si attendeva il discorso del Presidente Conte sulla cosiddetta “FASE 2”, sul come ricominciare il nostro vecchio modo di vivere, così, come nulla fosse successo, ma era largamente prevedibile che la fase due non sarebbe stata altro che la uno-bis.
Quale sarà o meglio, quale dovrebbe essere a mio avviso la fase due?
Non voglio definire questa tragedia un'opportunità, le migliaia di vittime non ci permettono di considerarla un'occasione, ma ci danno modo di reputare questo momento come una necessità: un integrale ripensamento della nostra società.
La ripresa delle attività non dovrebbe essere gestita dal governo centrale, ma prevedere una sorta di autonomia dei territori, lasciando all'esecutivo il non facile compito di supervisione e raccordo fra le varie realtà.
Nella misura più naturale, c'è necessità di autonomia economica locale, non tanto per rilanciare i vari comuni, quanto con l'intento di rendere ogni singola comunità sinergicamente solidale.
Solo con comuni solidi e autosufficienti nei limiti della quotidianità e delle necessità primarie, possiamo pensare ad un rilancio che possa essere innanzitutto equo, anche in considerazione dell'ecologicamente sostenibile, in armonia con le leggi della natura e nel rispetto del ciclo della vita che ci circonda.
La globalizzazione ha concentrato i flussi economici veicolandoli verso i grandi gruppi industriali, impoverendo la popolazione anche delle proprie capacità produttive e di conseguenza, delle proprie conoscenze, peculiarità e abilità.
Bisogna ripensare tutto il sistema, anche in forma di una decrescita che possa portare benessere locale e una più equa ripartizione della ricchezza, dove questa parola non deve necessariamente coincidere con denaro.
Quindi localizzazione che preveda innanzitutto sburocratizzazione e detassazione per far riprendere attività imprenditoriali anche a carattere familiare, affinché possano rinascere laboratori del fare, piccole produzioni che possano in un certo qual modo rilanciare un “nostro” prodotto creando economia locale; questi sono a mio avviso gli investimenti che bisogna fare, perché lo Stato non può essere considerato ricco se non lo sono i suoi cittadini.

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