evitando le buche più dure...
L’automobile, microcosmo egocentrico in cui chi ruota il volante detiene il potere ed ha sempre ragione; un piccolo mondo in cui colui che guida ha la inconfessabile e presuntuosa possibilità di modificare le leggi a proprio piacimento, di decidere più o meno consapevolmente della sorte altrui, giudice di vita o di morte.
All'interno dell’abitacolo se si
è soli, pensieri volano altrove liberando la mente dalla monotonia della gestualità
degli arti, incrociando sovente i propri occhi nello specchietto, incapaci di
sostenere il proprio sguardo occupato nello scrutare territori altresì
inaccessibili.
Se invece si è in compagnia, ci
si coinvolge in conversazioni disparate, passatempi più o meno interessanti, di
temi futili o esistenziali, di torti o di ripicche, di lavoro o di
disoccupazione, dell’amore o dell’odio.
E si incrociano altre vetture che
vanno nel senso opposto, così diverse nei loro colori, forme, nelle storie
degli occupanti, ma nel contempo schematizzate, uniformate al pensiero
globalizzante, grigiamente standardizzate. Allo stesso modo si sorpassa e si è
sorpassati da altre storie, da altre individualità che ti insultano o ti
salutano o, più probabilmente ti ignorano, incuranti dei tuoi pensieri e della
tua vanitosa sensibilità.
E ti senti piccolo, isolato,
emarginato ed inutile in quel mare di auto incolonnate, di intenzioni portate
in un luogo di sosta o di passaggio; nessun nesso fra di loro, vanno tutte
inconsapevolmente in una delle due direzioni imposte, ma con mete e fini
diversi.
Viste dall'alto sembrano
formiche, allineate, cui tutto ha un senso fluido, direzioni trigonometriche,
curve e forze cinematiche facenti parte di un arzigogolato disegno stradale, un
mare di arterie e capillari che collegano luoghi formatisi nel corso dei secoli
per volontà ignote. Spesso non si considera sul motivo della nascita di una
città in un determinato luogo: perché c’era l’acqua, o per la terra fertile, per
il clima, o in tempi moderni d’industrializzazione, per i giacimenti.

Allontanandosi ancora, come un “de-zoom” di Google Earth, le auto assomigliano ad elettroni impazziti che schizzano in ogni luogo e in ogni direzione, come facessero parte di un progetto; ma c’è un progetto?
Alla fine non si vedranno più,
faranno parte dei pixel immobili del panorama, sembreranno ferme e nessuno
sforzo da parte nostra potrà farle spostare.
Nella mia auto mi sento isolato,
un anonimo viaggiatore, una piccola formica in cerca di cibo o del formicaio,
un elettrone spinto, da forze che né comprendo né controllo, ad orbitare
attorno ad un nucleo che non posso toccare, un pixel immobile che non riesce a
spostarsi.
Con la forza dei miei muscoli
invece mi sento in armonia, mi fa compagnia il respiro, riprendo il mio tempo,
ho la possibilità di vedere, fermarmi e salutare i miei amici, di fare due
chiacchiere e intrattenere rapporti sociali.
E a chi è infastidito dal mio
andare a 20 Km/h e strombazza o mi rivolge epiteti poco edificanti, gli sorrido
e dico: “Riprenditi il tuo tempo, non è troppo tardi”-“Non donarlo alla
fretta”.
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