domenica 2 febbraio 2014

IL TEMPO RUBATO

ai Bocconiani moderni...

Sono profondamente ignorante in materia e quel che so dell'economia, l'ho appreso da ciò che mio padre, laureato presso la nostra facoltà partenopea, ripeteva nei momenti di crisi.
Era appena dopo il boom economico, ma anche gli anni dell'austerity, di quelle bellissime domeniche a piedi degli anni '70, tanta gente per strada, festa di pattini e biciclette, di gioventù spensierata e di bambini chiassosi e divertiti.
Allora lui, rivolgendosi a mia madre, vero potere gestionale e governativo della famiglia, ammoniva: "Bisogna fare economia".
Da allora, la mia percezione dell'economia è sempre stata risparmiare e non spendere.
Quando ho perso questo valore cambiando punto di vista?
Forse mai, ma gli slogan penetrano nella mente come messaggi subliminali, pari ad un virus che si fa strada e si espande nel proprio corpo, cogliendo i momenti di maggior debolezza psicofisica.
"Spendi, l'economia gira con te", il falso ideologico del "costa più l'aggiustare che il ricomprare"; forse nell'immediato è vero, ma ci ritroviamo senza materie prime, con un mare di rifiuti ed un alto numero di disoccupati poiché non si ripara più, ma si produce, e la produzione è quasi tutta automatizzata.
Da figlio a padre, ora la mia vita si svolge in un continuo susseguirsi di risvegli, tutti monotonamente uguali, e ogni mattino è da luci accese, è sempre troppo presto per ricominciare la giornata.
Devo prendere tempo, leggo qualcosa sul tablet, qualche post di qualche amico, articoli pubblicati sui blog che maggiormente seguo, trovo qualche nuovo interprete delle situazioni italiche; a volte condivido, altre critico, altre ancora "machimelofafare".
Ma è sempre e ancora troppo presto, il mattino tarda e non lenisce i miei dolori notturni. Riscaldo il bagno, faccio una doccia, la barba, spunto qualche pelo superfluo che l'età mi regala, e così via, mi vesto, e tutti i giorni nei medesimi gesti rituali, di cui ormai non ricordo più l'origine. A volte prima la barba, così per cambiare e sentirmi autore di una qualche innovazione, o prima la colazione, l'immancabile caffè.
Come sono riusciti a rendermi così?
Come hanno fatto a schiavizzarmi?
Come hanno potuto rendere la vita un contenitore colmo di cose inutili, oggetti indispensabili che non useremo mai, imperdibili offerte per cui è valsa la pena lavorare tanto, fare degli straordinari, trascorrere meno tempo a coltivare affetti od interessi personali?
Il denaro non esiste, sono numeri variabili che fluttuano in funzione di un algoritmo ignoto e indecifrabile; oggi sei ricco, domani non ne hai più. Il vero valore di riferimento non è la moneta, ma il tempo.
Quanto ne ho speso per il nuovo cellulare o per l'automobile?
Una rata mensile, per quanto tempo m’impegna e mi vincola?
Ecco, questo è il nuovo schiavismo, rubano il tempo.
Ma mi piace pensare alla musica, arte e sublimazione, in cui "tempo rubato" assume tutto un altro significato. É un modo per liberarti da un vincolo metronomico che scandisce ritmicamente l'andamento del motivo; quando il tempo è rubato puoi lasciarti andare al tuo stato d'animo, all'ispirazione, alle tue sensazioni del momento, a quell'attimo preciso che ti dice che devi rallentare perché effettivamente, ed a pensarci bene, anche il tempo è una convenzione, ed è sempre troppo poco per fare tutto quello che un uomo desidererebbe compiere prima che l'orologio biologico, vero cronometro della propria esistenza, si fermi.
Allora, sempre da padre, ai miei figli oltre ad auspicar loro di fare il lavoro che piace, che possa renderli felici di alzarsi al mattino, di esprimersi nel proprio ambiente e rendersi utili ed emancipati, gli auguro di vivere interpretando uno spartito "rubato", poiché il tempo non puoi recuperarlo e non c'è denaro che lo paghi.

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