Il Coronavirus, ci ha
posto davanti all'inadeguatezza della nostra società e del nostro modo di vivere.
Ora non desidero
addentrarmi in discorsi filosofici, né tantomeno parlare del lavoro che invece
di creare indipendenza economica, schiavizza.
Consapevole di poter
essere considerato singolare, un alieno, sento però la necessità che ci sia
una voce fuori dal coro; per questo ho citato the Greatest, premettendo che
impossibile è una parola che non esiste, è una parola pronunciata da chi non ha
coraggio e facilmente si adegua al dogmatico pensiero unico.
Ambiente – Tutela del suolo –
Autosufficienza energetica – Prossimità del lavoro – Km.0
Questo dovrebbe
indirizzare la politica locale, affinché si possa lavorare per un futuro ecocompatibile
e di "autosufficienza territoriale". I comuni devono tornare ad assumere un
ruolo centrale per lo sviluppo della nostra nazione, quale base della costruzione
della nostra società; solo se solidi possono rappresentare la struttura
portante dell'intero sistema.
Bisogna lavorare in
questo senso, necessita avere una visione di futuro e non adagiarsi su vecchi
stereotipi, modelli fallimentari che appartengono al nostro ieri recente, ma
comunque passato, un trascorso che ha lasciato tracce negative di cui farne
tesoro, in modo tale da non ripercorrere le stesse strade senza meta.
Non vorremmo mai si
ripresenti una prossima crisi, di qualsiasi tipo essa sia, ma dobbiamo essere pronti,
e lo saremo unicamente se comunità forti, autosostenute, che non necessitano della
mancetta governativa. Solo in questo modo si potranno, alla bisogna, creare
percorsi di "vera" solidarietà sinergica fra le varie componenti cittadine.
Immagino una cittadina,
un paese, che se proprio ha necessità di supermercati invece delle botteghe, abbiano
gli scaffali pieni di prodotti locali.
Occorre quindi un lavoro
intenso di intelligenze che sappiano riorganizzare urbanisticamente il nostro
territorio, affinché nostro sia il pane, nostra la pasta, i formaggi, le carni,
il pesce, nostre le verdure e la frutta, nostri i dolci.
Di pari passo
riorganizzare la rete del piccolo artigianato: penso all'abbigliamento con la ripresa
delle attività sartoriali, alle scarpe fatte a mano dai nostri maestri
calzolai, alla fornitura di mobili costruiti dalle nostre maestranze, e così
quasi tutto ciò che è indispensabile per vivere. Insomma, ancor più che dell'acquistare
italiano, comprare locale.
Immagino a quanta
occupazione si creerebbe se le varie dozzinali aziende quali ad esempio Ikea,
luoghi non di effettivo risparmio ma di usa e getta senza programmazione e
consumo di materie prime, fossero sostituite dalle nostre piccole imprese,
anche e soprattutto familiari.
È lampante di come in
Italia, pian piano con l'adozione di cavillosi iter burocratici, si è reso
impossibile continuare o fare impresa; i produttori locali sono quasi scomparsi
e molti di quei pochi rimasti hanno dovuto modificare la propria attività in
punti vendita di grossi gruppi industriali, magari multinazionali, o franchising.
A mio avviso occorre un
dibattito nazionale che riporti al centro il territorio; abbiamo il dovere di
cercare di costruire tutti insieme una nuova società. Non è impossibile,
occorrerà tempo è vero, ma bisogna cominciare, e se questo articolo riuscirà a
far diventare "alieno" qualche altro cittadino, magari qualche amministratore o
politico con un minimo di lungimiranza e coraggio, potremmo cominciare a
sentirci meno soli e un po' più indipendenti dai mercati internazionali,
lavorando affinché siano altri a sentirsi fuori luogo e fuori dal tempo.
Leggi anche: Che fase sarà - La localizzazione
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