Un gran talento naturale che non doveva sforzarsi più di tanto per
fare quel in cui meglio riusciva: scrivere, cantare e suonare.
Una belva da palcoscenico che poi di animale aveva solo l’istintività
e la capacità di adattamento alle situazioni.
Conoscevo Lucio da tempo, un po’ perché amico di amici, un po’ per il
mio lavoro che mi diede una chance di lavorare per lui, finché le invidie
sorrentine non posero veto.
Spesso vicini di barca nella darsena di Capri nel periodo in cui
Angelo gli raccontò la storia di Caruso a Sorrento e lui ne fece la canzone che
tutti conosciamo; appena venduto il “Catarro” e acquistato il “Dance”, un
passaggio importante dalla vela al motore, dal sudore al relax, un po' come il proletario
che si imborghesisce.
Poi ancora spesso incrociati con il suo “Brilla e Billy” quando
lavoravo per Diego Della Valle sul Marlin, ma mai gli avevo detto che suonavo e scrivevo
canzoni.
Poi un giorno fui invitato insieme a Cristofaro al suo concerto al Delle
Palme a Napoli; in camerino, lì gli rivelai che scrivevo canzoni e suonavo. Lui
incuriosito, mi chiese di dargli del materiale.
Pochi giorni dopo mi chiamò e mi disse che “Io non mi chiamo” gli era
piaciuto in maniera particolare e voleva inserirlo nel suo prossimo disco.
Mi spiace per lui, a prescindere dalla mia eventuale svolta musicale
che evidentemente non c’è stata, era una gran bella persona e un grande
artista.
Non so nemmeno perché racconto tutto ciò, perché dopo tanto tempo; è
un ricordo, un frammento di Lucio Dalla e me, nel mio piccolo.
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